Tomba Enrico Bevilacqua (1869-1933)

La lapide della tomba di Enrico Bevilacqua nel cimitero della Villetta di Parma. Lo scrittore insegnò parecchi anni nel Liceo Romagnosi di Parma. Era fratello del Card. Giulio Bevilacqua. Morì a Parma il 30 maggio 1933. 

“I Fioretti di Frate Lino da Parma” sono un piccolo libro (150 pagine, formato 11×17), uscito nel 1926, due anni dopo la morte di Padre Lino Maupas, da Spalato (perché nato a Spalato il 30 agosto 1866), chiamato da tutti Padre Lino da Parma (perché indiscusso protagonista sul palcoscenico della tumultuosa città emiliana dal 1893 al 1924). Il libro ha perpetuato l’incontro, avvenuto nel luglio del 1923, tra un frate un po’ fuori dalle righe e un severo professore del liceo Romagnosi di Parma. Il frate era cappellano delle carceri e chiese al letterato, elemento di punta della cultura cittadina, di intrattenere gli ospiti della casa di pena con alcune conferenze, che portassero fra le tristi mura un po’ di svago e – insieme – un po’ di formazione culturale alla numerosa popolazione dei reclusi, che viveva nel cuore della città, ma separata dal flusso intenso della vita della gente. L’argomento lo scegliesse il professore, con la sua collaudata sensibilità didattica.

L’incontro fra i due è descritto dal Bevilacqua nei Fioretti con alcune pennellate che ne fanno un episodio teatrale: il frate ha soggezione dell’insegnante; l’insegnante di fronte a Padre Lino sente venarsi di riverenza un po’ timorosa la sua abitudine all’indagine: cosa aveva dentro quel frate che pareva uscito da una pagina di Jacoponc da Todi, o di Victor Hugo? Il libro di Bevilacqua apre con queste parole: Conoscevo da un pezzo la popolar macchietta del fraticello scarruffato e pallido, da l’occhio scuro vivacissimo, dal mento bazzuto e quadro, trotterellante, a passo affaticato, per i vicoli cittadini, con un frufrù di tonaca frettolosa, rigonfia sempre di contrabbandi assortiti. Ma chi non l’ha conosciuto in Parma? Ma d‘avvicinarlo, di coglierne l’anima traverso la viva voce, non m’era capitato mai, prima di quell’anno che fu il penultimo della sua vita…

Tre dati cronologici dei due personaggi: Padre Lino nasce nel 1866, il Bevilacqua nel 1869; Padre Lino approda a Parma nel 1893, il Bevilacqua nel 1912; Padre Lino muore nel 1924, il Bevilacqua nel 1933.

Nei Fioretti lo scrittore racconta come dal luglio 1923 al maggio dell’anno dopo (morte di Padre Lino il 14 maggio) si sviluppasse fra i due una singolare familiarità, che Paolo Lingueglia, nella prefazione ai Fioretti – presente dalla seconda edizione, quella del 1931- avrebbe messo in evidenza.

Padre Lino era nato a Spalato nel 1866. S’era fatto frate francescano (dopo qualche esitazione e qualche tentennamento, derivati dai primi approcci con l’Ordine religioso), destinato a fare il missionario in Albania. Per cause imprevedibili nel 1893, a 27 anni, era arrivato al convento francescano dell’Annunciata di Parma e a Parma sarebbe morto nel 1924. Per trent’anni era stato l’anima della città: apostolo e filantropo; padre, fratello e amico della povera gente; per la Parma-bene, questuante abilitato a bussare a tutte le porte e a tutte le coscienze; icona della carità cristiana, fatto vivente appello e messaggio. Redivivo San Francesco in versione sociale.

Enrico Bevilacqua non era parmigiano. Era nato a Isola della Scala (Verona) il 5 marzo 1869, tre anni dopo Padre Lino. Si era laureato in lettere presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano. I suoi studi erano stati impostati sui canoni della cosiddetta “scuola storica”, che imponeva la partenza di ogni indagine e di ogni elaborazione da una puntigliosa osservazione archivistica per l’acquisizione e l’ortodossa interpretazione delle fonti. Esigenza culturale derivante per contrasto dalla tendenza romantica, ancora viva a cavallo dei secoli XIX e XX, che nella riedizione letteraria e nella ricostruzione storica privilegiava la passione per il personaggio.

Aveva fatto la tesi di laurea sul tema “Giovanni Battista Andreini e la compagnia dei Fedeli”. La tesi era stata pubblicata nel 1894 sul Giornale storico della letteratura italiana col titolo “G. B. Andreini, Firenze 1570 – Reggio Emilia 1654, attore e direttore della compagnia dei Gelosi, poi dei Fedeli, scrittore fecondo, autore di poemetti, tragedie, pastorali e commedie”. Originalità del saggio di Bevilacqua: la sua indicazione che in gran parte il “Paradiso Perduto” di Milton sarebbe stato ispirato dalla tragedia Adamo, appunto di G. B. Andreini.

Già negli anni immediatamente successivi alla laurea, Enrico Bevilacqua aveva iniziato la sua attività di docente nei licei di Girgenti, poi di Teramo e, nel 1912, nel Liceo Romagnosi di Parma. Aveva abbinato all’insegnamento una notevole attività di scrittore, con saggi storico-letterari di vario argomento. La sua opera più importante: “Vincenzo Monti” (Firenze, 1925).

Il suo inserimento nell’ambiente culturale e civico di Parma era stato veloce, cordiale e profondo.

Paolo Lingueglia, nella prefazione ai Fioretti, parla del dotto professore, ricco della miglior cultura del suo tempo (…) temprato alle più aristocratiche sensibilità della vita, d’arte e di pensiero… E aggiunge: Chi conosce lo spinoso professore del parmense liceo “Romagnosi ” sa bene che, sotto la maschera del burbero brusco tratto, egli dissimula un cuore pieno di rettitudine e sentimento.

I Parmigiani del prima e dopo prima guerra mondiale erano abituati a vedere la silhouette carducciana di Enrico Bevilacqua stagliarsi sui Lungoparma della città nobile (la città della Steccata e del Battistero), come su quelli della città plebea, dell’”Oltretorrente”, a sinistra del fiume.

Era fatale l’incontro fra Enrico Bevilacqua e Padre Lino. Non vogliamo togliere al lettore la gioia di leggere le circostanze di questo incontro, descritte in modo delizioso nei Fioretti dallo stesso Bevilacqua.

Un particolare interessante: il “Dizionario Biografico degli Italiani” dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (leggi Treccani) chiude la citazione – del resto esauriente e puntuale – sul Bevilacqua con la notizia che morì a Verona il 30 maggio 1933. No; la data è esatta, ma Enrico Bevilacqua morì a Parma, e a Parma è sepolto, insieme a Padre Lino, nel cimitero della Villetta (Avello esterno N. 4 – Quadro N. 5 – Galleria Perimetrale Nord), dove una modesta lapide, con la sua fotografia formato tessera incorniciata da un calligrafico fregio floreale, lo ricorda con queste parole:

Enrico Bevilacqua * Isola della Scala V – IIIMCCCLXIX – Parma XXX – VMCMXXXIII * Singolar tempra di Poeta e d’artista – di professore e di uomo – Nella scuola e nella vita altissimo esempio ai giovani di rettitudine e di civili virtù – pago del suo nobile lavoro – e dell’affetto della famiglia diletta.

La “singolar macchietta” del frate che consumava decine di sandali sull’acciottolato delle strade di Parma esercitò un’attrazione alla quale il finto-scontroso professore non riuscì a sottrarsi. Nove mesi dopo il loro primo incontro Padre Lino morì. L’apoteosi dei suoi funerali colpì il Bevilacqua e gli nacque l’idea di deporre un suo personale mazzo di fiori che non potessero appassire sulla tomba di Padre Lino. In meno di due anni i suoi “Fioretti di Frate Lino da Parma” furono scritti e stampati.

La Società Editrice Internazionale Torino uscì con la prima edizione nella primavera del 1926. Prezzo: Nel Regno L. 5,50 – In Torino L. 5. Questa prima edizione del 1926 conteneva già il “Fioretto postumo, nel primo annuale”, relativo ad un episodio del 14 maggio 1925. Un’anticipazione dei Fioretti era apparsa sulla rivista “Aurea Parma”, dove Enrico Bevilacqua aveva pubblicato: Padre Lino fra i galeotti (con una illustrazione, novembre 1925 – pagg. 369-73).

Opportunamente l’editore e l’autore – uscendo i Fioretti nel 1926 – fecero riferimento al VII centenario della morte di San Francesco. Non avrebbero potuto non farlo, poiché tutto il vasto mondo francescano si era mobilitato per dare enfasi alla bella circostanza; e in Italia il Fascismo aveva assecondato il fervore commemorativo in ogni modo, conscio della forte ricaduta politica di questo atteggiamento.

Ma lo fecero prima di tutto per ragioni intrinseche, che avevano fatto pensare immediatamente al collegamento fra Padre Lino e il suo grande “padre”. Lo stesso Enrico Bevilacqua nei Fioretti racconta che, essendo rimasto sorpreso di trovare nel funerale dietro alla bara di Padre Lino un luminare dell’università di Parma che non brillava precisamente per la sua religiosità e avendo chiesto: “Anche lei, qui, dietro Padre Lino?”, si era sentito rispondere: “No, non dietro a Padre Lino, ma dietro a San Francesco… perché qualche volta San Francesco ritorna! …”.

Del resto il riferimento al 7° centenario della morte di San Francesco fu reso esplicito dall’”epigrafe” posta in apertura della prima edizione, il cui testo si può presumere opera dello stesso Bevilacqua:

NELL’ANNO SETTECENTESIMO

DA CHE ALLA PORZIUNCOLA SI SPENSE

TRA UN COZZAR DI PASSIONI FEROCI

IL GRAN ROGO D’AMORE

LETICANTE

ONDE SBOCCIÒ SU LA BRULLA TERRA

L’INESAUSTA PRIMAVERA DEI «FIORETTI»

ARDA E SPLENDA QUEST’ALTRA FIAMMELLA

CHE DA L’ANTICA S’ACCESE

E NELL’ETÀ NON MEN FERREA

TRA L’ANSITO DEGLI ESASPERATI ORGOGLI

TRA IL FETIDO FRAGOR DELLE MACCHINE

E IL TURBINÌO DEI MILIARDI

EFFONDA LA PIÙ MODESTA FRAGRANZA

DEI FIORETTI NOVELLI

A CIÒ CHE IL NOME E L’ESEMPIO

DEL POVERELLO

PADRE LINO MAUPAS

NON SI SPERDA VIA SUBITO / INVANO.

 

I “Fioretti di Frate Lino da Parma” – probabilmente al di fuori dell’intenzione dell’autore e nonostante il loro commosso afflato lirico – risulteranno un’opera storica; il Bevilacqua non poté staccarsi dalla sua abitudine all’aderenza rigorosa ai fatti, controllata e riscontrata sui documenti, nonché sulle molte testimonianze dirette che aveva a portata di mano.

Cosa molto positiva, perché a distanza di due anni dalla morte di Padre Lino la gente ebbe a disposizione una sua vigorosa biografia che univa al carattere documentario dell’istantanea fotografica la penetrazione psicologico-spirituale di un maestro del ritratto.

Forse la fortuna dei Fioretti ha anche contribuito – sicuramente ancora fuori delle intenzioni dell’autore – a non fare sentire la necessità di una biografia “canonica” di Padre Lino.

La monumentale raccolta di documenti e di testimonianze del “corpus” relativo alla Causa di Canonizzazione – iniziata da Padre Gregorio Giovanardi praticamente subito dopo la morte di Padre Lino, ben prima del 1942, anno in cui il Vescovo di Parma Mons. Evasio Colli aprì il processo informativo (continuata poi in successione da Padre Teodosio Lombardi, da Padre Enrico Bianconi, da Padre Giambattista Montorsi, da Padre Pietro Rossi e completata in modo lodevole da Padre Roberto Zavalloni nel 1991) non è una biografia, è un repertorio, molto prezioso ma inedito, consultabile solo presso la sede della Postulazione a Roma e presso la sede della Vice Postulazione a Parma.

Il libro “Padre Lino da Parma – Vita e Spiritualità” – di Padre Anastasio Curzola, uscito nel 1967 – è un’opera dal taglio biografico, ma – molto opportunamente, del resto! – centrata prevalentemente sull‘iter ascetico personale di Padre Lino.

Tutte le altre pubblicazioni relative alla vita di Padre Lino successive ai Fioretti sono dai Fioretti chiaramente derivate. Tanto che, in un certo senso, si può dire non solo che Enrico Bevilacqua è il primo biografo di Padre Lino, ma che ne è il biografo-base. Questo vale per Icilio Felici, Gian Crisostomo Guzzo; in gran parte per Mariannina Caroselli, Maria Luisa Rizzatti, Alberto Grassi, Lorenzo Sartorio…

Per quanto se ne sa, vale anche per Giovannino Guareschi, che nei tredici mesi (1954-1955) in cui fu ospite delle carceri di San Francesco in Parma in conseguenza del suo noto contrasto con De Gasperi, fu colpito da come fosse ancora vivo il ricordo di Padre Lino fra quelle mura e cominciò a scrivere una sceneggiatura per un film su di lui, ma sospese poi il lavoro perché questo frate gli tirava la penna a sinistra.

Vale anche per le due realizzazioni cinematografiche non felicissime: “Fratello Ladro” di Piero Tosini (Cobra Film, 1972); “At salut Pàder” (Rai, 1981).

Nel 1931 uscì – curata dallo stesso Bevilacqua – la seconda edizione dei Fioretti (“Il edizione arricchita e rinnovata – VI migliaio”). Varianti dalla prima edizione: la presenza della bella prefazione di Paolo Lingueglia; l’aggiunta di quattro illustrazioni fuori testo (14 anziché 10); la presenza di alcune, interessantissime note del Bevilacqua, un inno “liturgico” in onore di Padre Lino regolarmente in latino, con relativa antifona e “oremus”, opera del “leguleio” (come lo definisce Bevilacqua; avvocato? magistrato?) G. G. Agostinucci; una trentina di recensioni dei Fioretti apparse sulla stampa. Precede l’indice un occhiello interessante, che riproduciamo:

TRADUZIONI DEI «FIORETTI DI FRATE LINO DA PARMA»

  • In tedesco: Die Bliimlein des Frate Lino von Parma. Traduttore Dr. David Windstosser. Werli. W. Franziskus Drucherei, 1929.
  • In olandese: Lino van Parma. Mi- sdaad en Armoéde. Traduttore Mr. B. J. Buve, con prefazione del Dr. W. Pompe, professore di diritto penale nell’università di Utrecht Ediz. “Cecrt Groote” Genootschap, 1931.
  • In polacco: Traduttore Majurttius Rzecznik, in corso di stampa a Sokal (Polonia).

Questo occhiello verrà ripetuto (compreso l’accenno all’attesa traduzione polacca) in tutte le edizioni successive, che – a nostra conoscenza – uscirono negli anni 1934,1943,1944,1955.

La nostra presentazione è partita col proposito di dare solamente “notizie” sui “Fioretti di Frate Lino da Parma“, di Enrico Bevilacqua, ma il benevolo lettore non può non sentire il nostro incondizionato apprezzamento per questo gioiello letterario-storico, che mantiene attuale la sua bellezza e la sua validità a distanza di quasi un secolo dalla sua stesura. Noi condividiamo il giudizio datone allora da Renzo Pezzani (il quale, per conto proprio, è autore di una lunga, stupenda poesia su Padre Lino in dialetto parmigiano, che bene può fare il paio coi Fioretti): «Il fraticello… rivive in queste pagine del Bevilacqua con una squisita evidenza di caratteri esteriori e intimi… Quale noi lo conoscemmo e amammo, tale, oggi, lo rivediamo uscire vivo e caro dalle pagine di questo libro, piccolo come un libro di orazioni. Il Bevilacqua non buttò su quel cuore il peso d’una vasta cultura; non gli fece una nicchia vasta e superficiale; bensì lo richiamò qual fu dal silenzio del passato recente, e, con la sua arte semplice e potente, teneramente lo rimandò a “vivere tra il suo popolo” (La Rassegna di Roma)».

Forse non è inutile riferire che i Fioretti ebbero altre numerose ed entusiastiche citazioni da “La Civiltà Cattolica”, “Il Carroccio”, “Scuola italiana moderna”, ecc.; Piero Jahier, Dino Provenzal, Guido Piovene, A.F. Formiggini, Giuseppe Lombardo Radice, Diego Valeri, Ugo Betti, Antonio Baldini, …

Nel 1967 Paolo VI tenne un discorso ai superiori provinciali dell’Ordine Francescano dei Frati Minori convenuti da tutto il mondo per il Capitolo Generale, nel quale ricordò le linee portanti del carisma del Poverello d’Assisi, e fece il nome di due persone che lo avevano incarnato e che dovevano essere tenute presenti come modelli. Nell’aiuola in cui i fiori sgargianti sono innumerevoli, da San Bonaventura a Padre Gemelli, da San Bernardino da Siena a San Pasquale Baylon, da San Teofilo da Corte a Padre Gabriele Allegra, il papa scelse due nomi: San Francesco e frate Lino da Parma.

Nel 1965 Papa Montini aveva elevato alla dignità del cardinalato un vecchio sacerdote che faceva da parroco in una chiesa periferica di Brescia, Padre Giulio Bevilacqua. Padre Giulio Bevilacqua, che in quella occasione non volle lasciare la sua parrocchia, dove sarebbe deceduto qualche mese dopo aver ricevuto il cappello cardinalizio, era stato precettore in casa Montini e aveva posto le basi della sconfinata cultura del futuro papa. Forse fra le letture proposte al ragazzo Giovanni Battista ci fu anche il libretto del fratello di Padre Giulio, quel professore Enrico Bevilacqua che, trapiantato a Parma mentre era impegnato nell’insegnamento al Liceo Romagnosi, invitato a fare una conferenza ai carcerati, aveva pensato al tema “neutro” dei Fioretti di San Francesco. Enrico Bevilacqua, conoscendolo poi bene in un sodalizio amichevole nei pochi mesi che restavano da vivere ancora al frate dalmata, aveva scoperto che Padre Lino “veniva da molto lontano”, come diceva la gente. Enrico Bevilacqua pensava che Padre Lino provenisse proprio dalla “verde valle” dei Fioretti di San Francesco, un aureo capolavoro, non solo letterario, di cinque secoli prima, al quale il fervoroso umanista professore del Romagnosi avrebbe aggiunto qualche capitolo.

P. Berardo Rossi